Carso bresciano walkabout

In questi mesi di sospensione, nei quali fasi di lavoro intense si alternano per me a giorni di vuoto, ho avuto la fortuna di perdermi più volte a girovagare sulle colline dietro casa.

E ho così scoperto che, come dicevo a Eva e a Beppe, a pochi km da Rezzato ci si può smarrire in posti bellissimi senza incontrare anima, viva o morta che sia.

Siccome trovare info chiare sulla zona, anche in internet, è sempre più difficile, approfitto di un momento di pausa per alcuni brevi report escursionistici per gli amanti delle trottate nei boschi.

Niente di troppo dettagliato, eh?
Solo la traccia su una cartina, una descrizione sommaria del percorso e qualche commento: i sentieri, anche segnalati, hanno diramazioni ovunque. E spesso i bivi non sono indicati. Tentare di dare riferimenti precisi è inutile, quando non fuorviante.
A che cosa servirebbe scrivere, p.e.: “Dopo il rettilineo, all’evidente rovere svoltare a dx?”, quando nel tratto ci sono rettilinei ed evidenti roveri ovunque?
Quindi ai ripetitori non resta che affidarsi all’istinto, nella certezza che, male che vada, si farà solo un giro più lungo.
A meno di non perdersi in mezzo all’altopiano di Cariadeghe, dove un’uscita dal sentiero potrebbe portare a smarrirsi tra gli omber con esiti davvero poco piacevoli.

1. Altopiano di Cariadeghe – Tentativo al Prato della Carlina

Ph courtesy google maps

Corsa, con Eva.
Mi ricordavo di esserci stato con Beppe, in bici, a settembre.
E il giro mi era piaciuto molto.

In una delle innumerevoli domeniche luminose e ventose di questa strana primavera sospesa, le propongo una replica per sentieri, per farle conoscere il posto.

Partiamo dal Rif. Fanti, costeggiamo da sud il monte S. Bartolomeo per il sent. 7 e saliamo alla sterrata 4-6 puntando a Valpiana; superiamo il gruppo di case. Eva mi ha già maledetto più volte perché il “tranquillo giro di recupero su comoda sterrata dopo la – di lei – mezza maratona mensile” si è trasformato in un accidentato trotterellare per sentiero scivoloso, sassoso e a tratti ripido (sul 7). Solo il bel fondo regolare del 4-6 placa la sua ira di pelidéa memoria.

Io mi ricordo che, dalla sterrata, dovrei piegare a dx per raggiungere la bella conca del Prato della Carlina. Ma la prima deviazione a dx ci porta a una casa. Non ci resta che tornare indietro. Salto la seconda deviazione (perché, penso, non sarà di certo lei) e proseguo diritto. Dopo una ripida salita finiamo su strade forestali che danno sui pendii sudorientali del Dragoncello e si perdono ora in un prato, ora in un roccolo. Torniamo di nuovo indietro e prendiamo a sx (verso N) al primo bivio (il terzo a dx venendo da Valpiana): dopo un km, il solito roccolo.

Eva è molto, ma molto arrabbiata e mi stacca altezzosa a 4′ al km.

Torniamo a Valpiana, rientriamo sulla sterrata del 4-6 e prendiamo a sx (N) a un bivio che indica “Canal del Luf” e “Caalì de le Val Surde”. Per stretto sentiero tra insidiosi omber coperti di vegetazione e prendendo a dx all’unico bivio incontrato, ci immettiamo su una sterrata che ha tutta l’aria di essere il 3 e proseguiamo per qualche centinaio di m verso NO.
A questo punto, pur intravedendo sulla sx una zona con scarsa vegetazione (che potrebbe essere il famigerato “Prato della Carlina”), scortati da una poiana rientriamo lungo il 3 fino alla Casa del Fante.

Contorto giro di circa 12 km in ambiente magnifico, ma da conoscere: i sentieri periferici del Parco hanno poche segnalazioni e ancor meno riferimenti, forse per opera di cacciatori gelosi delle proprie postazioni. Torneremo con maggiore cognizione di causa.

Qui sotto il presunto tracciato.

Per i riferimenti al numero dei sentieri riporto anche la cartina rilasciata dal Comune anche se – ahimè – palesemente sbagliata.

2. Altopiano di Cariadeghe – Prato della Carlina – Con Beppe

Ph courtesy google maps

Qualche settimana dopo, curioso di svelare l’arcano di come diavolo si faccia ad arrivare al Prato della Carlina, risalgo a Cariadeghe in mtb con Beppe. Saliamo a Serle Castello da San Gallo e imbocchiamo via Fontana e Via Valpiana fino a Valpiana, appunto. Proseguiamo sul 4-6 (sterrato) e deviamo al secondo bivio a dx (verso N – CVD). In pochi minuti arriviamo a quello che Beppe chiama “Prato della Carlina” (sulla cartina del Comune il Prato della Carlina dovrebbe essere la bella distesa erbosa a S del 4-6, nei pressi del bivio; quindi, boh…).
Poi proseguiamo verso N, andiamo a prendere il 3, scendiamo fino al bivio della Cascina del Comune, saliamo non senza fatica alla bellissima spianata che la ospita (visuale incredibile, con una quercia e un faggio monumentali), ci riposiamo qualche minuto e proseguiamo per sentiero nel bosco verso NE fino a imboccare il n° 1, per il quale scendiamo – Beppe a rotta di collo, con notevole tecnica di discesa, che a me manca del tutto – al rifugio degli Alpini e alla strada principale di accesso al Parco.
Di qui per strada asfaltata a Serle, Zuzurle, Castello, San Gallo e casa.
Tutto semplice, tutto naturale…
Mah…

Bellissimo giro.
Se la mia memoria non mi tradisce, come tende a fare sempre più spesso, la prossima volta non dovrei perdermi.

3. Alla Valle del Fo’ per il Sentiero del Carso Bresciano

Ph courtesy sentieri bresciani

In solitaria, se così si può dire, in una bellissima, assolata e ventosa giornata infrasettimanale nella quale avevo detto a Eva che sarei andato a fare un breve giretto esplorativo.

Mi attirava il toponimo “Crosal di Botticino” che incontravo riportato in ogni dove nei miei vagabondaggi sul Monte Regogna. E volevo capire se in qualche modo fosse possibile scendere per sentieri nella valle sottostante San Gallo.

Raggiungo Fondazione PinAC (chiesetta dei Disciplini) e proseguo fino a imboccare il 530 in corrispondenza della mulattiera nota a Rezzato come “Raza”. Per il suo tramite costeggio il monte Regogna sul fianco O fino al colletto di quota 320, scendo per la sterrata che porta a Botticino e, quando il 530 piega a dx, lo seguo sempre sul fianco O della bella costiera del sistema Regogna-Fieno fino a raggiungere in falsopiano il colletto di loc. Gazzolo.

Qui lo sterrato riprende a salire lasciando sulla sx la pensione Eva e raggiunge quello che presumo essere il Crosal di Botticino (un trivio nel mezzo di un pendio assolato nel quale si incontrano più sentieri). A questo punto l’itinerario prosegue in costa verso O prima nel bosco e poi per desolati prati sassosi su sentiero risistemato, a tratti scomodo puntando ai pendii boscosi sul margine superiore della enorme cava del Giasarol.

Al colletto in cresta poco oltre il 530 piega a NO e segue la dorsale. Io, disidratato, devo iniziare a pensare al rientro, raggiungo (forse) il rif. Trinal e per traccia costeggio gli appartati, boscosi e freschi pendii O del monte Fratta fino ad arrivare sul fondo della Valle del Fo’. Qui piego a S, raggiungo l’omonimo gruppo di case e, per sassosa e ripida mulattiera scendo verso il Giasarol, imboccandone la sterrata e la successiva striscia di asfalto che costeggia la voragine della cava, sempre più abnorme.

A Botticino Sera chiamo Eva, che è abbastanza sorpresa di sapermi in giro in pieno pomeriggio, la saluto e riparto trotterellando verso Rezzato lungo la direttiva Molinetto-Santuario.

Giro piacevole per posti solitari. Da preferire nelle mezze stagioni. A occhio 20-25 km (2h e 30′ al piccolo trotto). Fondo non sempre agevole.

4. Alla Chiesa di San Rocco per il Monte Cavallo

Ph courtesy sentieri bresciani

Domenica piove.
Prima che arrivi l’acqua, decido di dedicare un paio d’ore all’esplorazione della linea di cresta tra Mazzano-Nuvolento e Botticino. Una quindicina di anni fa, durante una puntata in mtb, ero salito lungo la valle di Virle fino alla sterrata sopra le cave e mi ero perso per ripidi sentieri sbucando fortunosamente in una delle cave della valle di Nuvolera. Questa volta voglio capire se ci sono tracce che portino da lì a Gazzolo.

Ripercorro il 530 da via Disciplina fino alla Raza; al colletto di quota 320 imbocco la sterrata che sale al monte Camprelle e ne salgo i ripidi tornanti, lascio sulla dx i bivi per Loc.Nigoi, per la chiesetta degli Alpini di Mazzano e per Nuvolera-Case Vecchie e San Rocco, fino a rendermi conto che Gazzolo resta troppo lontano sulla sx.

Non mi resta che seguire la sterrata che sembra puntare alla valle di Nuvolera. A un bivio senza cartelli proseguo a dx anziché a sx (ah, questi cacciatori) e finisco ben presto nel solito roccolo.

Oggi Eva è rimasta a casa a macinare rulli. Quindi posso permettermi di andare per rumeghi. Perlustro il perimetro del prato per trovare i quasi certi sentieri di continuazione. E, in effetti, a S trovo una traccia (marcata in malo modo con segnavia azzurro) che scende ripida nel bosco verso S e O sui pendii orientali e meridionali del monte Cavallo. È ripulita, ma non molto battuta. Sassi affioranti e argilla bagnata rendono difficile la pur lenta progressione che mi sono imposto per salvarmi le già martoriate caviglie.

Sempre costeggiando verso SO il fianco del monte arrivo a un bivio con segnavia bianco-rosso; in un primo tempo piego a sx (E). Ma la traccia sale. Torno indietro e proseguo verso SO fino a incrociare un sentiero che, verso S, giudicando dalle indicazioni porta a San Rocco. Senza farmi pregare due volte, lo imbocco e scendo rapido a zig zag tra rocce e alberelli fino al bel santuario.

Di qui per strade secondarie procedo di buon passo verso Mazzano, Gavardina e Rezzato.

Arrivo a casa appena prima dell’acqua.

Giro divertente, di circa 15-18 km (1h e 50′), ancora una volta per boschi a tratti solitari e lussureggianti. Con un po’ di fantasia in certe sezioni di itinerario si potrebbe immaginare di essere in Borneo.

Mi mancano da esplorare le diramazioni verso S del tratto sull’altopiano e un possibile collegamento con Gazzolo che, credo, da qualche parte ci sia.

5. Alla chiesetta degli Alpini di Mazzano dalla Valle di Virle

Ph courtesy sentieri bresciani

Puntata odierna dopo piogge, per proseguire l’esplorazione dell’area.

Salgo la Valle di Virle, al colletto di quota 320 proseguo per la sterrata del Camprelle e, una volta in cresta, lascio sulla dx il bivio per Nigoi, che ha l’aria più selvatica.
Al ben segnalato bivio per la Chiesetta degli Alpini di Mazzano svolto a dx per sentiero che punta netto a SO dapprima costeggiando sulla dx una recinzione.

Dopo qualche centinaio di m la traccia sbuca sull’assolato versante SE del Monte Camprelle e prosegue in costa verso SO su terreno aperto per riprendere la discesa in corrispondenza di boschi tropicaleggianti in direzione di Mazzano. Non fosse per l’argilla da pattinaggio artistico, la corsa sarebbe molto divertente.

Nel bel mezzo del Borneo dell’alto mazzanese il sentiero piega a O, tagliando in un tratto più canalette di cemento che escono da un oscuro groviglio di vegetazione, forse residui di qualche reperto archeologico industriale.

Ben presto il bosco si esaurisce per lasciare spazio ai ripidi pendii di erba e doline che sovrastano la Chiesetta degli Alpini. Il sentiero affianca reti anti-frana e scende ripido verso la falesia di Mazzano, la lascia sulla sx e prosegue fino alla Chiesa e alla Casa degli Alpini. Di qui, tagliando il tornantone su asfalto, si tuffa verso il Cimitero.

Rientro ordinario per Mazzano Vecchia, Virle, Via IV Novembre e via Perlasca.

Giro divertente, da preferire in condizioni di tempo asciutto e poco umido, onde evitare di attentare all’integrità dei legamenti delle proprie caviglie.
12-14 km?
Per me 1h e 25′.

6. Near the end

Si dice che le ultime parole di Goethe prima di andarsene siano state: “Più luce!”.
Gli interpreti prosaici, di scuola positivistica, ritengono che lo scrittore tedesco volesse solo vederci meglio, nella stanza resa oscura dalla sera calante.
I commentatori di scuola romantica intendono la frase in chiave simbolica come espressione del suo desiderio di una più profonda visione e di una maggiore illuminazione su ciò che è oltre.
Chiaro che nessuno saprà mai che cosa intendesse Goethe davvero…

L’aneddoto mi è venuto in mente proprio correndo.
Quando vago in walk-about per le colline, mi capita spesso di percepirmi immerso nella luce, anche se il tempo è nuvoloso o piovoso, o l’atmosfera cupa.
Credo che lo strano fenomeno, forse dovuto a qualche particolare neurotrasmettitore fin troppo esuberante, sia in qualche modo parente della percezione di essere nei pressi di un’immane fornace ardente che provavo in esplorazione sugli aridi e feroci pendii lucani.

Che cosa significherà tutto questo?

Anche se, a differenza di Goethe e da ben più umile pulpito, io sono ancora vivo, penso che non lo saprò mai.
Pazienza…

Comunque è bello correre nella luce anche se è buio, eh?

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