Essere autonomi nel 2020 – Conviene?

In questi anni molti opinionisti e non poche istituzioni suggeriscono il lavoro in proprio come una necessità e un’opportunità: una necessità perché il mondo del lavoro si sta facendo sempre più difficile e, nel caso si perda un’occupazione da dipendente, il lavoro autonomo può fare da ammortizzatore temporaneo; e un’opportunità perché un lavoro autonomo ben impostato può essere molto più vantaggioso in termini economici di un impiego da dipendenti.

In particolare la Commissione Europea, nella pagina che dedica al self-employment in relazione alla Strategia Europa 2020 (qui: ec.europa.eu), dichiara che l’autoimpiego aiuta a generare sviluppo inclusivo in quanto crea lavoro (ma no?), fa sì che lavoratori e organizzazioni acquisiscano maggiori competenze e aiuta le persone a rischio di esclusione a prendere parte attiva alla vita sociale ed economica.
E tutto questo senza fare debito pubblico, chiaro.

Sarà davvero così?

1. Molto lavoro, ben pagato, ma frammentato

Sempre la Commissione Europea, nel densissimo report “Employment and Social Developments in Europe: 2018” (qui), segnala alcuni fatti degni di nota:

  1. Negli ultimi anni il livello di occupazione in Europa è aumentato;
  2. Tuttavia questo è avvenuto in parallelo a un aumento della liquidità delle posizioni lavorative (si cambia spesso lavoro) e della loro atipicità e a un aumento formale dei compensi, ma a una diminuzione di fatto delle entrate per i lavoratori (un maggior numero di persone lavora, ma con contratti a tempo, magari meglio pagati – all’ora –  che in passato, ma meno continuativi, quindi per meno ore e inferiori compensi complessivi; e la tendenza è in rafforzamento);
  3. Allo stesso tempo sta avvenendo una polarizzazione della richiesta di lavoro: aumentano i posti di lavoro per professioni a elevata competenza (ben pagati) e quelli per professioni manuali e a bassa competenza (mal pagati); invece per effetto dell’automazione vanno diminuendo le opportunità di impiego c.d. intermedie, in quanto molti dei task automatizzabili sono sempre più delegati alle macchine;
  4. In questo contesto i lavoratori standard (dipendenti a tempo indeterminato), sono comunque  molto meno a rischio di povertà rispetto ai lavoratori non standard (lavoratori in proprio con o senza dipendenti, lavoratori atipici; queste ultime categorie molto più della prima); tra gli ostacoli a uno stipendio dignitoso per i self-employer si segnalano la volatilità delle commesse e delle entrate, la mancanza di un’istanza terza che negozi tra lavoratori e committenti e supporti i primi nel ricevere compensi giusti , poche garanzie previdenziali;
  5. In ogni caso il rischio di povertà per i self-emplyer si riduce quanto più è elevato il grado di istruzione e più alta l’età.

3. La situazione a Brescia

Una consultazione del’ultimo report sul lavoro della Camera di Commercio di Brescia (ottobre/novembre 2019 – qui) permette di constatare quanto segue:

  1. il lavoro a Brescia non manca: nell’autunno 2019 le imprese in provincia cercano lavoratori (circa 30 mila addetti, 1.000 in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso), questo nonostante l’ultima valutazione dell’andamento delle imprese (primo trimestre 2019 – qui) evidenzi segni di debolezza: la manifattura bresciana lavora per lo più per quella tedesca; e questa è in rallentamento;
  2. Le figure più ricercate sono, nell’ordine, operai specializzati, cuochi, camerieri e commessi, tecnici in ambito ingeneristico, del marketing e della logistica; molto bassa la richiesta di personale non specializzato;
  3. Il report segnala anche che le imprese faticheranno a trovare operatori;
  4. Andando a scartabellare gli annunci di lavoro per Brescia sui siti delle agenzie di selezione del personale, si constata che, in effetti, i profili richiesti sono quelli più sopra elencati e per lo più con forme di contratto a tempo (e stipendi a volte al limite del ridicolo).

Quindi, escludendo l’ipotesi di emigrare,  che cosa fare?
Bella domanda…

4. Self employer multitasking?

Facendo le dovute tare a quanto riportato nei vari documenti (le istituzioni – si sa – sono molto abili a costruire narrative sui dati, cioè a convincere dell’inevitabilità di alcune tendenze a partire da una certa lettura, comunque di parte, della situazione), il lavoro c.d. “sicuro”, a tempo indeterminato, sembra avere un futuro sempre più difficile anche nel ricco Nord Ovest italiano.

Tra i fattori protettivi rispetto al rischio di ritrovarsi, per usare un’espressione elegante, tutto d’un tratto “col culo per terra” elencherei:

a) Un certo orientamento ad assumersi la responsabilità della propria vita (non solo lavorativa) a intraprendere e a essere attivi (come dicevo spesso nei miei corsi, “la mamma cosmica non esiste; e, di sicuro, non si chiama né Stato, né azienda);
b) La propensione a differenziare il rischio (mettere tutte le proprie uova in un solo paniere rende vulnerabili); quindi è necessario sviluppare più abilità, anche lavorative, e puntare a più fonti di entrate;
c) So che non è bello, ma: studiare e/o specializzarsi; i lavori automatizzabili e/o a bassa qualifica sono in via di estinzione, in tempi di certo non biblici;
d) Se ci si affida all’autoimpiego, prestare attenzione a fattori organizzativi (task di staff che assorbono tempo e non producono entrate: amministrazione, gestione dei rapporti col fisco, riscossione crediti, pubblicità) e finanziari (flussi di cassa e pagamenti, specie di tasse e imposte);
e) In questo caos, evitare di perdersi e individuare le priorità; il rischio di perdersi inseguendo mille rivoli di attività è alto;
f) il lavoro nobilita, ma debilita e stanca anche: non è un caso che aziende come Microsoft abbiano istituito la settimana corta: nonostante la vulgata produttivista lombarda sostenga il contrario, oltre un certo carico di lavoro la produttività precipita, come sa bene chiunque pratichi uno sport in modo continuativo;quindi darsi tempo per recuperare;
f) I dati indicherebbero: “aggregarsi“; se non si è da soli, è più facile dividere i costi, creare economie di scala e integrare le competenze; va comunque considerato che si è piccoli rispetto ai colossi presenti sul mercato; e che, come – maligni – insinuano molti commercialisti “le società migliori sono quelle costituite  da un numero di soci dispari inferiore a 3”: potrebbe non essere facile trovare l’ensemble giusto; persone sbagliate nello staff possono mandare per aria anche l’attività più indovinata, utile al contesto e in grado di dar da vivere in tutta tranquillità, come più di qualche esperienza personale mi dimostra; quindi essere selettivi.

5. Sopravvivenza

Viviamo tempi frenetici, nei quali il rischio di vivere per lavorare è altissimo.
Tutti sappiamo che la vita, come l’alpinismo, è soferensa [cit.].
Però credo vada sempre tenuto in mente che, a meno di smentite e a giudicare dai dati empirici, è una sóla (con la “o” chiusa) e rischia di diventare una sòla (con la “o” aperta) al cento per cento se ci si dimentica di viverla.

Io, per averlo ben presente, ho sempre  stampati davanti agli occhi della mente gli impressionanti cieli notturni visti in Quebrada Rurec, Cordillera Blanca, Perù, durante Arrampicande.
Per questo, a vantaggio di tutti, in apertura al post ne ho riportata una pallida copia nella splendida foto di Mirko Sotgiu.

Buona contemplazione…
Et, ut ita dicerem, buon lavoro!

😀

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