Indietro tutta

1. Il project designing come gioco d’azzardo [not for climbers]

Un’attività imprenditoriale con un tasso di successo del 10% (cioè: hai 10 probabilità su 100 di portare a casa un finanziamento e quindi di essere pagato) è sensata?
O è attività più affine al poker, al gratta e vinci e simili?

Dipende dai punti di vista.

Per le organizzazioni che commissionano il lavoro l’operazione ha senso: investono poco (metti € 1.000 per un progetto), o addirittura niente (quando ingaggiano giovani praticanti sprovveduti) , e, se sono solide e hanno fortuna, 1 volta su 10 si portano a casa il malloppo, a volte discreto, a volte più che… (da € 5.000 a € 1 milione, o già di lì).

Per i project designer, specie se lavoratori autonomi, è una giocata al lotto, specie se i ricavi sono costituiti dalla sola success fee: sei bravo se scrivi 20 progetti in un anno; e, se, come dimostra lo storico, ne vinci solo 2 su 20 (e magari piccoli), hai ricavi ridicoli. Anche chiedendo una success fee del 5%, ti puoi portare a casa – metti – € 250 nel primo caso e 50.000 nel secondo.
Ma, a prescindere dal fatto che i progetti da un miliuna hanno tassi di successo del 3% (quindi dovresti partecipare con 30 progetti per sperare di prenderne 1), nessun committente ti darà una success fee da mezza stanga.

Quindi a fine stagione, a conti fatti, l’organizzazione – male che vada – al massimo ha speso un millino e almeno ha partecipato all’estrazione, mentre il project designer ha un ricavo che lo mette diritto diritto al primo posto tra gli aventi diritto al reddito di cittadinanza, nonostante si sia fatto il culo a capanna.

È lo stesso modello di business che si adotta nelle industrie creative: gli aspiranti scrittori o musicisti o fotografi o film maker o youtuber sono migliaia, molti con realizzazioni di qualità. Tra questi  le case di produzione e distribuzione selezionano quanti hanno più possibilità di farcela (almeno secondo loro), mettono a punto e distribuiscono il prodotto in quantità limitata e con costi ridotti e, se fanno il botto (se trovano la Rowling o gli U2 di turno), rientrano dall’investimento con gli interessi.
Come ci ricorda UNCTAD alla p. 9 di CREATIVE ECONOMY OUTLOOK Trends in international trade in creative industries, dal 2002 al 2015 l’industria creativa a livello globale è cresciuta con un tasso medio del 7% annuo.
7% annuo….
Quasi come il SP500.

Certo, hanno fatto i soldi case di produzione e di distribuzione e, negli ultimi tempi, facebook, youtube e spotify…
Un po’ meno autori, musicisti e band.
Però il settore è davvero interessante.

2. Ne resterà soltanto uno

È il processo evolutivo che Bateson chiama selezionismo a base stocastica, presente ovunque in natura: in media al massimo uno degli spermatozoi partiti all’attacco durante un rapporto sessuale feconda l’ovulo (e non è detto che sia il migliore); allo stesso modo non tutti gli individui all’interno delle specie hanno caratteristiche adattative a eventuali mutamenti ambientali: in caso di drastico cambiamento, chi ha le mutazioni adattative per via genetica o ha un organismo molto flessibile, sopravvive; gli altri muoiono, non si riproducono e non passano il proprio set genetico  (caratteri adattativi e non) alla prole.
Insomma, uno su mille ce la fa (e non è detto – ripeto – che sia il migliore).
È per certi versi e in buona misura una questione di culo.

Morale della favola: se si vuole fare i project designer, meglio lavorare assunti a tempo pieno dalle organizzazioni; o, se proprio si vuole operare come free lance, ci si deve far pagare per il lavoro di scrittura: deve essere il cliente a pagare per staccare il biglietto della lotteria, non il ghost writer.
Con questo approccio il 2019 non sta andando proprio malaccio, incrociando le dita…

E, allo stesso modo, se ci si vuole guadagnare la vita con attività artistiche e creative, l’unica è produrre, produrre, produrre, come una zanzara zen che morde il ferro.
Senza tener conto di fallimenti e frustrazioni.
Senza alcun attaccamento all’ego.
Bisogna essere implacabili e instancabili come un’intelligenza artificiale.
Immortali…
E sperare di sfondare prima o poi.

Questo intende Montemagno quando parla di incessantismo (bruttissimo termine davvero) in merito all’attività di produzione e pubblicazione di video su youtube.

Oppure bisogna inventarsi Facciadilibro o youtube.
Così non ci si deve nemmeno preoccupare di selezionare i potenziali cavalli di razza; ci pensano i consumatori.
Semplice e geniale.
Ma mi sa che, questo, lo hanno già fatto altri…

3. Traumatologia prospettica

Via Michele Avanzi al Biaina…
L1.
Su questo tiro GigiDR scrive di aver fatto una fionda arrivando fin quasi a terra, dopo aver strappato un chiodo.

La roccia è sporchina.
Metto un primo fr basso, quasi inutile, giusto per proteggermi da un’eventuale caduta sui fusti dell’albero alla base,  raggiungo il primo chiodo e mi alzo ancora un po’.
Sono sotto uno strapiombino da decifrare.
Il prossimo ch è a 3 m circa. Se volo, finisco per terra.
Ecco, Gigi deve essere caduto da qui.
Medito a lungo prima di muovermi.
Poi trovo un buchino con strettoia sul fondo. Ci sta giusto un nut.
Incastro il dado senza controventarlo (“Tanto, penso, dovrebbe star lì”), mi alzo, raggiungo il ch e, mentre moschettono, il nut si toglie e scende bel bello fino alla protezione sotto.
30 anni di alpinismus per niente…
Sì, anche l’alpinismus è attività molto influenzata dal fattore “culo”.

4. Indietro non si torna, forse…

S2.
Guardo in alto L3: fessura che taglia un muro strapiombante a cubetti.
Primo ch poco sopra la sosta.
Poi una grande scaglia dall’aspetto dubbio, un altro ch e più niente.
GigiDR scrive che in via ci sono molti ch, per lo più dubbi.
Che qualcuno li abbia sbottonati tutti, qui sopra?
Toccherebbe a me.
Mah…

Cedo il tiro a Gianluca che sale di potenza, tira la scaglia macilenta (che suona a vuoto, ma non si muove), arriva alla sezione superiore della fessura, trova i ch (molti e buoni) e in poche bracciate è alla sosta.
Lo raggiungo.
Adesso ci sarebbe il tiro di VIII-.
A me ispira anche.
Ma Gianluca non ha nessuna voglia di aspettarmi 2 ore al sole, appeso a una sosta scomoda, mentre io passo tarzanando da un chiodo all’altro.

Niente…
Ci caliamo.
La prossima volta mi fido di più di quello che scrive Ivan.

***

VIA MICHELE AVANZI
Maghella, Bonaglia – VII+ e A1 fino al nostro terminus (200 m)

Avvicinamento – Per l’accesso in auto, buona la descrizione della rel originale; poi, arrivati al parcheggio, imboccare la mulattiera in discesa e, individuata su un sasso a dx la scritta rossa “Attico”, seguire la traccia nel bosco segnalata a bolli di vari colori.
Costeggiato a lungo lo zoccolo della parete, e reperita una fissa, la si sale; al suo termine quando possibile proseguire in lieve obliquo a sx, su terreno ripido. Scritta su targhetta metallica alla base.

Necessari martello e ch, fr BD fino al 3 e, per ogni evenienza, nut piccoli.
Protezioni in via da buone a ottime.
Roccia compatta, ma da verificare, specie su L3 (ripulita, ma a scaglie).
Rel. originale qui: scuolagraffer.

L1 – Diedrino appena a sx della verticale dell’albero di attacco; rimontare uno strapiombino in lieve obliquo verso dx (pass difficile da proteggere); quindi diritti per fessurine fin sotto uno strapiombo che si supera tendenzialmente a dx; al suo termine a dx alla sosta (20 m – VI+ sost)
L2 – Fessura e placca delicata; poi per rocce appoggiate alla sosta (25 m – V+)
L3 – Sopra la sosta con pass difficile seguendo una fessura inclinata a sx fino a prendere la grande scaglia, da tirare con cautela e da proteggere con perizia; raggiunta la soprastante nicchia, salire la continuazione della fessura, strapiombante e su roccia non sempre ottimale, ma ben chiodata (VII+ e A1 – 25 m)

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