Diedromania

 

Tu sei diventato per me
un torrente infido

 

Ger 15,18

***

Aιων παις παιζων πεσσευων
παιδος η βασιληιη

Aion è un fanciullo che gioca
muovendo le tessere di una scacchiera;
di un bambino è il regno

Erakleitos,
Diels-Kranz 22 B 52

***

“Alcuni,” disse il Mullah tra sé un giorno, “sono morti mentre sembrano esser vivi. Altri, invece, sono vivi anche se sembrano essere morti. Come facciamo a capire se un uomo è vivo o morto?”
Ripeté quest’ultima frase così ad alta voce che sua moglie sentì.
Gli disse: “Sciocco! Se mani e piedi sono abbastanza freddi, tu puoi essere sicuro che è morto.”

Dopo non molto tempo Nasrudin stava tagliando legna nella foresta quando si accorse che le sue estremità erano quasi gelate per il freddo.
“La morte,” disse, “sembra che mi colga. I morti non tagliano legna; si sdraiano composti perché non hanno bisogno di movimenti fisici.”
Si sdraiò sotto un albero.

Un branco di lupi, resi più determinati dalle loro sofferenze durante quel rigido inverno, e credendo l’uomo morto, si avventarono sull’asino del Mullah divorandolo.

“Così va la vita!” pensò il Mullah; “Una cosa ne condiziona un’altra. Se solo fossi stato vivo, non vi sareste presi queste libertà col mio asino.”

Le storie del mullah Nasreddin

 

1. La bolla

Questo diedro era ingannevole già visto da sotto: nonostante il VII+/A1 della relazione, sembrava facile.
E adesso che ci sono in mezzo, lo è ancora di più.
Ingannevole, dico.
Le fessure che ne attraversano il lato sinistro alternano la tonalite solida a strati della consistenza del cartone. Quindi bisogna stare attenti con le protezioni: un friend o un nut nel punto sbagliato, un volo… E la fessura si apre.

In basso mi sono protetto con un BD 0.3 e un 2. Poi ho moschettonato un chiodo a u, che non ho potuto verificare perché sono senza martello. E ora sono a fianco di un universale che, da sotto, sembrava bello, ma, raggiunto, si è rivelato malsano.
Si muove.
E non posso ribatterlo.
Con la mano lo spingo dentro fin che posso.

Per fortuna per i piedi ho un discreto appoggio che mi consente di considerare con una certa calma la situazione.

Faccio un respiro profondo.
Ok, rinforziamo il chiodo.
Sistemo un nut nella fessurina poco sopra e lo collego al rinvio del chiodo. Non lavora benissimo. Ma è meglio di niente.
Di qui la fessura principale si assottiglia. E non ci sono altre protezioni per almeno 7 m. Vedo solo un fix, un bel po’ in alto, sulla dx.

Tameni dà 3 ch sul diedro. Ne ho passati solo 2.
Che ne sia uscito uno?

Vedo i passaggi in libera, ma non posso rischiare un volo: non so come sia il chiodo a u e non so se terranno i friend, piazzati nei bordi di granito cartonato della fessura più in basso.
Quindi proseguo in artif.

Il BD 0.3 sarebbe perfetto.
Peccato che sia sotto.
Con me ho solo nut, un friend micro e un 0.4. Pochi rinvii: li ho lasciati a Gianluca, in sosta.
“Pirla”, mi dico.

Carico con molta prudenza chiodo e nut.
Ho brutte sensazioni finché non completo il carico. Però tiene.
Piazzo un nut precario sopra. Di nuovo mi ci affido piano.
Tiene.
Staffo alla protezione sotto e mi accorcio sul nut appena messo.
Altro nut, questa volta buono.

È il colmo, penso. Ho 7 nut, tutti piccoli, ma solo 2 sembrano funzionare davvero in questa fessura di merda.

Ricomincio col solito, paziente lavoro: staffa, alzo piano il piede sx nella staffa, cerco un nut da piazzare, magari recuperandolo da sotto, a fatica lo trovo, lo piazzo, in certi casi tenendolo inposizione con il dito, moschettono, staffo, mi alzo e mi accorcio al rinvio appena messo.

Ogni tanto il nut fa un osseo rumore di assestamento. Ma il tutto per il momento regge.

Quando arrivo sotto il tettino alla fine del diedro, ho una discreta isola di sicurezza sotto di me.
Se penso che Ralf è passato di qui in libera…
Matto di un tèutone…

Da qui la fessura torna sana.
Sotto il tetto sistemo un ottimo nut , che poi resterà incastrato, e parto in libera verso la sosta.
Ho qualche titubanza nei pressi del fix.
Poi la mente mi si libera.
E vado.

 

2. Radure

Raggiungo S4 dopo una discreta sfacchinata sul tiro. Speravo di salire in libera. Ma, alla prima sequenza davvero impegnativa, ho dovuto rinunciare: il tratto chiave era atletico.
Purtroppo sono già stanco; e mancano ancora due lunghezze alla fine.

La sosta è ai margini di un boschetto sospeso.
Abeti, tassi, un tappeto di aghi di conifera, il cielo azzurro in alto, nuvole bianche fioccose e il sole trionfante del meriggio.

Recupero Gianluca all’ombra di un tasso godendomi la quiete di quel luogo e di quel momento magici.

Heidegger chiamava “radure”, lichtungen, quegli spazi in cui, come in una radura nel bosco, dal buio si passa alla luce, non piena, ma tale da mostrare un panorama più ampio, quei luoghi in cui il senso dell’essere si mostra nascondendosi.

Ho sempre amato le radure.

 

3. Vivere da morti o morire da vivi?

A Gianluca salite come questa piacciono molto.

Al ritorno discutiamo di come sia cambiata l’arrampicata da quando ho iniziato, quasi trent’anni fa.
Ora ci sono molti più praticanti, dico. E c’è una maggiore attenzione alla sicurezza: meglio difficile e ben protetto che facile e sprotetto.

Per questo su vie come quella di oggi, aperta – credo – nel 2011, crescono i rovi e spariscono le protezioni, mentre a valle si continuano ad aprire nuove falesie, si unge la roccia di quelle vecchie e si avviano sempre più sale boulder.
Predomina una concezione materna dell’arrampicata, protettiva e accogliente, da cui l’antico fantasma della morte, che aleggia da sempre – riconosciuto o no – nei pressi degli alpinisti durante le loro salite, è stato esorcizzato e ricacciato nel nulla.

“Era meglio una volta o è meglio adesso?”, provoca Gianluca.
“Mah… Al netto del ‘Ai miei tempi’, a me continua a piacere il vecchio stile. L’esperienza che ne ricavo è molto più ricca”.
“Ma allora è una specie di droga? Hai bisogno di adrenalina, anche se salire vie alpinistiche può portarti alla tetraplegia o alla morte?”, rincara la dose lui.
“Non è meglio una sana e sicura arrampicata sulle falesie di casa?”

Non lo so, penso.
Però non credo nemmeno che l’alpinismo sia una forma di dipendenza dall’adrenalina.

La dipendenza è la stretta alla gola quando hai bisogno della birra, la sera. Segue la rilassatezza dell’alcool e la finta serenità pompata dalla dopamina.

Ma la lichtung, il chiaroscuro, la radura, non è come l’alcool.
È contemplare per un attimo l’assoluto oltre il velo delle cose. Non crea dipendenza. È improvviso e soverchiante.

L’altra sera ero in Maddalena, la falesia di casa, ad allenarmi da solo.
Non c’era nessuno.
Dopo i cinque soliti tiri, risistemato il materiale, sono salito per il sentiero.

Alcuni piccoli di rapace pigolavano rabbiosi nel loro nido, da qualche parte. Il cielo era sereno, ma quasi grigio e piatto, l’erba appena piegata dal vento.
Per il resto silenzio.

Ecco la lichtung.
A me toglie il fiato.

Ma non è programmabile.
Non è provocabile a comando ripetendo vie dure su vie dure.
Semplicemente capita.

Certo, intuitivamente, come il mondo nasce dall’assoluto per una lacerazione, una “morte” che, in un certo senso, avviene nella pienezza del principio, così, per andare oltre il velo delle cose è inevitabile percorrere la strada inversa e avvicinarsi alla lacerazione, alla zona di confine tra vita e morte, tra mondo di qua e mondo di là.

Ma, ripeto, rischiare è condizione (forse) necessaria, non sufficiente.
La lichtung accade.

 

4. Domande inevase

Quindi è meglio l’arrampicata di ieri o l’arrampicata di oggi?

Meglio per chi?
Per me?
Ho già risposto.

E per gli altri?
Ognuno valuterà per sé.
Gli arrampicatori di oggi stanno facendo la loro strada come ritengono meglio farlo.

Di sicuro l’arrampicata di oggi rende meno facile a chi arrampica di imbattersi nel chiaroscuro, perché:

1. La lichtung richiede di andare al confine tra mondo di qua e mondo di là, di abbandonare i porti della sicurezza a tutti i costi; ma oggi si vuole l’arrampicata sicura; quindi la sicurezza si paga con la perdita della lichtung;
2. andare alla lacerazione avvicina alla morte; e la morte rende individui; oggi l’arrampicata è sport di massa; quindi nella misura in cui l’arrampicata è lo sport dei social, delle vie che si devono fare, dei selfie, impedisce di entrare nelle radure in cui il principio si mostra; il principio sfugge le folle.

E questo è un bene o un male?
Ancora una volta, non lo so.

L’assoluto, il principio può essere ingannevole.
Può ardere e consumare.
Può ridurre in cenere.
Può annichilire.
E non è detto che questa sia una gran cosa.
Forse sono davvero meglio due tiri in falesia nella quiete della sera, al riparo dalla fornace cosmica.

E poi, da uomo grigri, quest’inverno ero contento di vedere i ragazzini giocare all’arrampicata, in palestra, su plastica.

Loro si divertivano.
Sì, forse questo è davvero sufficiente.

***

DIEDROMANIA
Tameni, Tamburini – VII- e A2 (260 m)

Itinerario impegnativo, da affrontare con consapevolezza. Non sembra molto ripetuto.  Ha comunque il vantaggio di essere all’ombra a lungo, la mattina.
Qui la rel dei primi apritori:  www.adamellothehumantouch.it

Materiale necessario: 14 rinvii, serie di friend fino al 3 BD; utili alcuni micro o nut piccoli; martello per ribattere i ch; eventualmente 1 ch dello spessore di almeno 1 cm per migliorare le protezioni sul diedro di L2; cesoia per ripulire la linea dai rovi.

Attacco – Si raggiunge il cosiddetto “Bivacco” sotto lo Scoglio, si prosegue lungo la parete verso SO e, appena possibile, si sale per tracce fino alla base dell’evidente camino-diedro soprastante, sulla sx di “Malaonda”; per cengia a sx e in lieve discesa fino a una targhetta con nome. Un cordone annerito in ch segnala la prima protezione.

L1 – Diritti per placchetta impegnativa e rocce rotte fin sotto un diedrino strapiombante; ingresso faticoso (1 p.Ao per me, che mi ostino a non tirare un moncone di arbusto sulla dx); al suo termine ancora diritti e appena a dx attraverso una macchia di arbusti; poi per rocce appoggiate alla sosta (40 m – VII- o VI+/Ao);
L2 – In obliquo a sx per bella placca, a prendere l’evidente diedro sulla sx (2 fix); poi diritti per il diedro; il secondo ch va ribattuto; io proseguo in A2 su nut fin sotto il tettino; poi in obliquo a dx per placche (2 fix); manca 1 protezione? Indispensabile martello e utile 1 ch (lama o universale) per proteggere l’ultima parte del diedro; possono andare bene anche 1 BD 0.3 e 1 0.4; lasciato 1 nut a dx del tettino (45 m – VII- e A2);
L3 – Partenza molto dura dalla nicchia; poi diritti per placca e diedrino; a un arbusto proseguire in lieve obliquo a sx e diritti sempre lungo il diedro; rovi prima della sosta (utile una cesoia) (45 m – VI+);
L4 – Diritti per muro articolato; poi in traverso e in obliquo a dx sotto tettini e strapiombi ben appigliati; a un largo gradino rimontare o in artif. o in libera (pass. di gamba – 🙂 ) fino a raggiungere un ch e un fix ravvicinati che consentono di entrare nel sistema di fessure prima verticale e poi inclinato a sx per il quale si esce dalla fascia strapiombante a 2/3 di parete; rovi nel mezzo del diedro terminale; sosta su comoda cengia; temo di aver lasciato sul tronco un kevlar usato come rinforzo (45 m – VII- e A1);
L5 – In obliquo a sx per bella placca arrampicabile con basse temperature (o piedi riposati e allenati) fino a un’evidente tetto formato da grandi lame; seguire le lame verso sx per 3/4 m; quindi diritti per fessure sopra le lame fino alla sosta su cengia erbosa (40 m – Ao e VII-);
L6 – Dalla sosta su albero si segue la cengia verso dx fino a un muro con 2 fix; superarli, proseguire in lieve obliquo a dx, poi in obliquo a sx, rimontare un breve strapiombo, salire brevemente per placche e obliquare a sx fino al bosco sommitale (55 m. – Ao e VI-).

Discesa (per mia futura memoria) – Dalla sosta andare a prendere una rampa boscosa inclinata verso sx (senso di marcia) (E) e salirla; appena possibile obliquare a sx (NO) e per breve diedro inclinato accedere alla zona del bosco sommitale sopra i salti; traversare a sx (O) fino ad aggirare la zona delle cenge boscose ed essere in grado di perdere quota; quando si incrociano i segnavia blu della linea di discesa, li si segue verso dx (senso di marcia) (NO) fino alla prima bastionata rocciosa, al cavo d’acciaio sulle placconate mediane e alla successiva bastionata rocciosa, dove i segni si perdono (molti alberi abbattuti); il diedro attrezzato che consente di aggirare i salti sotto la seconda bastionata è alla sx di questa (nel senso di marcia (S/SO), circa 50 m. sopra il suo termine); dal diedro attrezzato la traccia è evidente.

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Soundtrack
Space Cadet
KyussWelcome to Sky Valley (1994)

 

2 risposte a “Diedromania”

  1. Ciao Sandro.
    Grazie per la bella esperienza insieme.
    Credo che per ogni giovane aspirante alpinista sia importante trovare sulla sua strada persone come te. Persone di esperienza,capacità è sicuramente di un umiltà fuori dal comune. Spero di scalare ancora insieme vie come questa,mi sono divertito molto e ti ringrazio nuovamente.
    Alla prossima avventura
    Gianluca

  2. Ciao Gianluca.
    Grazie a te, soprattutto per la pazienza sul secondo e sul quarto tiro.
    Non molti sarebbero rimasti ad aspettare un vecchietto avanzare in artif. “sulle adipose piante” 🙂 a passo di lumaca.
    Intanto comunico che sono riuscito a risolvere il problema dei commenti. Il messaggio “Token di sicurezza non valido” che compariva quando si tentava di postare un commento, era dovuto a un conflitto tra due plugin: jetpack e antispam.bee. Disattivato antispam, adesso funziona.
    Temo che sarò sommerso di spam, ora.
    Vabbe’…
    Soluzione provvisoria.
    Alla prossima
    Ciao

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