La Fiamma Bianca

Quando l’anima tenta di aprirsi una via d’uscita dall’oscurità, attraverso faticose meditazioni filosofiche, ha luogo allora l’imbiancamento […]. Ci può essere d’aiuto un’immagine di Rabbi ben Jochai riportata da Sholem: la fiamma ascendente è bianca, ma proprio alla sua base, come un piedistallo, vi è una luce blu nera la cui natura è distruttiva. La fiamma blu nera attira le cose e le consuma, mentre il biancore continua a fiammeggiare al di sopra. […] in virtù della sua stessa inerenza alla nigredo – commenta Sholem – la fiamma blu può consumare l’oscurità di cui si nutre. […] Qualcosa di essenziale andrebbe perduto, se l’apparire del bianco non fosse che il risultato di una liberazione dall’oscurità; qualcosa deve incorporare nell’albedo una risonanza, una fedeltà a quel che è accaduto, e trasmettere la sofferenza con un’altra sfumatura: non più come dolore lancinante, come decomposizione o come memoria della depressione, ma come valore.

J. Hillman,
Blu Alchemico e Unio Mentalis, in “La pietà filiale”,
a cura di F. Donfrancesco, Bergamo, Moretti & Vitali, 2008.

1. Le visioni di GiPi

Il secondo giorno di permanenza in valle, mentre Ralf tentava il suo record di quota puntando al lago a Nord del campo base, Pietro, GiPi, Riccardo e il sottoscritto si dedicavano a salire la Quebrada osservando con attenzione i possibili obiettivi.

Tralasciando per ovvie ragioni Onda e Rostro (che faceva venire le vertigini solo a guardarlo), comparivano linee di salita ovunque.

GiPi dev’essere proprio portato a individuarne perché, oltre a vedere la Magic Line, notò sulla costiera nord dello Shaqsha una lingua di roccia chiara che battezzò subito “La Fiamma Bianca”.

Io avevo liquidato subito la linea: al cospetto delle maestose pareti di Quebrada Rurec, la Fiamma mi dava l’idea di una linea che ci avrebbe richiesto molta fatica per niente: perché aprire una via su una lingua di roccia appoggiata di massimo 200 m. di massimo “IV”, facciamo “IV+”?

Mah…

Le mie valutazioni non avrebbero potuto essere più sbagliate.

Se ne sarebbe accorto Ralf, che – rimbrottato dai capi per la sua tendenza ai record solitari – era stato per penitenza mandato ad aprire i primi tiri sulla nuova linea individuata.

2. Alla faccia del IV+

Durante la prima puntata il téutone era riuscito ad aprire tre tiri, con parecchia fatica data la fastidiosa scivolosità delle fasce di roccia più bianche, e per di più girovagando in parete: L1 proseguiva abbastanza diritta, L2 si teneva vicino ai boschi sulla sx e L3 aggirava con un marcato obliquo ancora a sx un primo ostico rigonfiamento della parete.

Ora che questa diventava più verticale, i dubbi erano: come proseguiamo?

A sx un diedro erboso sotto grandi strapiombi sembrava offrire una possibilità di prosecuzione; lo stesso pareva potersi dire di un diedro più piccolo appena a dx.

Ralf propendeva per la sx; io per la dx.

Non restava che metterci mano.

Fallito il mio tentativo su “La Vendetta degli Apu” era essenziale che almeno una linea su cui eravamo all’opera arrivasse da qualche parte, per consentire a Silvia e Kevin di arrampicare su linee nuove oltre che sui reperti archeologico-alpinistici della valle.

La cordata per l’attacco finale sarebbe stata costituita da Ralf e Fischer e dal sottoscritto.

***

L3 – Conduco io, per consentire a Ralf di riposare prima dell’apertura di L4.

Fino a S2 siamo saliti con le fisse. Ora è meglio arrampicare, se vogliamo entrare in uno stato mentale da apertura.
Ho già tirato 2 protezioni sul primo muretto (“Sarà 6b”, diceva Ralf). Ma adesso a tirare non riesco proprio: quel diavolo di un tedesco per arrivare in sosta ha chiodato lungo. Sono costretto a passare in libera.

Volo, testando il multimonti che per fortuna non fa una piega.

Poi con affanno riparto. Il passaggio è davvero delicato.

Gran bel tiro.

Da qui proseguiremo per la mia linea, puntando al piccolo diedro in mezzo alla parete, che, rispetto al diedrone di sx, presenta meno incognite nella sezione terminale.

L4 – Ralf chioda vicino solo sopra la sosta, oltretutto mettendo la prima protezione in equilibrio su un solo piede e staffando in posizione da fachiro la seconda. Poi va su roccia più facile e si scorda di avere il trapano. Lo raggiungiamo apprezzando di nuovo la bellezza del tiro.

L5 – Parto io, di corsa. Così di corsa che mi dimentico di prendere la batteria di scorta e piastrine. Me ne accorgerò 5 m sotto il punto di sosta previsto, quando il trapano inizierà a fare le bizze e le piastrine si vaporizzeranno dal sacchetto porta-magnesite in cui pensavo fossero. Passo momenti intensi usando parte della poca batteria rimasta per fare l’ultimo foro di protezione, avvitarci un multimonti, staffarlo con il cavetto di un nut, trascinarmi verso i ciuffi di puna secca sotto il Polylepsis alla fine del diedro e issarmi nella nicchia sopra la pianta. Recupero prima Ralf su nut in multimonti appena avvitato in buco scavato a 2/3 di profondità con la residua carica della batteria. L’altra protezione di sosta è il Polylepsis che sostiene il terrazzino, di cui non ho ancora capito – né testato – la tenuta. Purtroppo la fessura di fondo è cieca. Quindi niente friend.

Ralf fa: “Lascia il tiro così, quando torni su, eh? Non aggiungere protezioni…

Lo guardo male…

L6 – Diedro strapiombante sopra la sosta, forzato in artif da Ralf (sarà 7a). Poi il tedesco procede per rocce appoggiate e vegetate fin sotto il grande strapiombo terminale. Difficile che i ragazzi salgano fino a qui: se i primi quattro tiri sono una meraviglia, questi due sono – per usare un eufemismo – lassativi: in Quebrada Rurec meglio lasciare fessure e colatoi alla propria infelice sorte di ricettacoli di vegetazione.

Intanto si è alzato un furioso vento di risalita, che si infila nel canale-camino alla nostra dx e ci raffredda. Sento i polmoni ardere: brutto segno. Do comunque un occhio al camino, per capire se si riesca a proseguire. Sembra di sì. Ci caliamo a rotta di collo. Fischer, con la potenza dei suoi trent’anni, recupera con poco sforzo le corde finite al primo recupero dietro un Polylepsis proprio sotto la sosta.

3. Bucoliche ascensioni

Il bruciore ai polmoni e la fastidiosa tosse che mi sono portato in ricordo dal tentativo precedente non mi danno tregua nonostante il diuretico prestatomi da Ralf che mi vedo costretto ad assumere e l’Olio 31 che diluisco nel tè mattutino a mo’ di antibiotico.

Per un giorno non faccio altro che riposare: lavo i vestiti e me stesso esponendo, in coerenza con la mia natura gattesca, all’aria e all’acqua il meno possibile del mio corpo.

Recuperate le forze risaliamo alla Fiamma per le riprese con Silvia. Kevin è piegato dalla solita, infida febbre e non tenterà la salita.

Fischer, GiPi e io raggiungiamo S3 per consentire a GiPi di stendere le statiche in vista delle riprese di Mirko. Poi io e Fischer proseguiremo con l’obiettivo di aggirare gli strapiombi sommitali tramite il camino di dx e di valutare la prosecuzione della nostra linea sull’enorme rampa appoggiata che sovrasta la Fiamma sulla dx.

Nemmeno in seconda ripetizione riesco a fare pulito il muretto di L3; tanto meno il passo dato di 6a da Ralf su L4. Siamo comunque molto rapidi a raggiungere S6.

Ci spostiamo nel camino.

Attacco, con tutto l’armamentario appeso all’imbrago.

La veloce occhiata data durante il tentativo precedente si dimostra subito ingannevole: il muro, anche se a gradoni e asciutto, è strapiombante e offre solo sporadiche possibilità di progressione su protezioni naturali. Sono subito costretto a usare l’artif.

Inoltre, malaticcio, ho le braccia pesanti come non mai e fatico molto a puntare il trapano. Avrei sperato di salire più veloce. Invece sono costretto a forare più volte per forzare. Verso la fine del muro, quando questo sembra uscire verso la luce seguendo una fessura naturale, mi trovo di fronte all’ennesima scanalatura cieca (qui anche un po’ friabile) che mi induce all’ennesima staffata e a una foratura in posizione da boulder tenendomi su svasi come se fossi al Roc Palace. Ma le prese non sono di plastica; e sotto non c’è il materasso. Non so come, riesco a bucare, a piantare appena il solito multimonti salvachiappe, ad appendermi alla vite con il provvidenziale cavetto di un nut e a forare di nuovo per mettere una protezione migliore.

Poi la roccia si fa facile.

Piego a sx e attrezzo sosta sotto quella che ha tutta l’aria di essere una rampa vegetata che porta al bosco intermedio sopra gli strapiombi. Recupero Fischer, che avrà il suo bel daffare per raggiungermi perché mi sono dimenticato di allungare l’ultima protezione. 2h e 30′ per un tiro: non c’è male.

Finalmente in libera, salgo rapido la rampa e raggiungo il bosco sospeso.

Un rapace volteggia alto sopra le nostre teste.

La grande rampa sopra gli strapiombi, possibile prosecuzione della via, alterna placche compatte appoggiate a strisce di puna secca: una discreta ravanata.

La Fiamma Bianca (rel. Arrampicande) finirà qui.

Scelgo di scendere per bosco e canale alla nostra sx: la calata in doppia, possibile, è resa insidiosa dalla vegetazione dell’ultimo tiro e dal polipesco Polylepsis sotto S6.

Mentre vaghiamo per il canale boscoso, affascinante nell’ordinato caos dei posti mai toccati dall’uomo, sono intimorito e meravigliato.

Al ritorno al campo sapremo che Silvia e Lorenzo sono saliti, come previsto, fino a S4, che Silvia ha trovato la via molto bella e che Ralf ha salito in libera L3 e L4.

Diavolo di un téutone…

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Ph Migliari e Fischer, in ordine sparso

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Soundtrack
Arctic Monkeys
Dangerous AnimalsHomburg (2009)

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