Placca dei Cremonesi 2 – Toscolano (BS) – Il ritorno dei tre uomini saggi

Uno

Ivan sale la traccia al bordo del muro rosso e giallo commentando che il sentiero è a posto, le protezioni buone e la roccia pulita dalle piante. Gli spiace per il quasi totale abbandono della parete.
“La maggior parte degli arrampicatori non verrà mai qui: troppo lontano, scomodo e severo; in Opol le pareti sono vicine alla strada, hanno vie facili e prato alla base”.
Proseguiamo chiacchierando, presi dall’argomento.
Ralf divaga: “Non arrabbiarti, Sandro. Ma sai che alcuni pensano che tu abbia fatto un pessimo lavoro con la guida? Non dovevi proprio segnalare certi posti…”
Io, ovvio, mi arrabbio: la maggior parte delle pareti è su terreno demaniale; e, se uno le chioda, non ne diventa il proprietario; e poi – aggiungo – se uno vuole farsi il giardino di arrampicata privato, otterrà solo di vedere la fatica fatta inghiottita in poco tempo dal bosco; ho visto in più di qualche nuovo spot che, dicono, doveva restare segreto mangiato dall’erba e tornato a essere parco giochi per ghiri e falchetti: le falesie vanno vissute perché si mantengano pulite. Non è meglio far circolare le informazioni? Così gli arrampicatori si distribuiscano e non vanno tutti nei soliti quattro posti…
“Tranquillo”, chiude Ralf. “Anche se fai girare info su certe falesie, non ci arriveranno le folle. Al massimo una o due cordate in più…”
Penso abbacchiato che, se Güllich, aprendo Riders on the Storm, raccontava di aver trovato solo un modo faticoso e doloroso, ma divertente di mandare in fumo un mucchio di soldi, io posso dire di aver ottenuto lo stesso risultato in modo molto meno interessante dedicandomi alla compilazione della guida.
Vabbe’…
Iniziamo ad attrezzare il set fotografico, valà.

 

Due

Sono su Jaguar Jalda.
Sto arrampicando da secondo col terrore che, se mi scivola un piede o mi si stende il braccio destro, mi si stirino i tendini della spalla infortunata accendendovi il fuoco, come più volte capitato quest’estate.
Mi muovo lento, pesando con attenzione ogni movimento.
Mentre sono a metà diedro, sibili cupi dietro di me e una serie di schianti sotto mi gelano il sangue. Stringo le prese e mi avvicino il più possibile al bordo sinistro, strapiombante, della struttura rocciosa.
È una scarica…
Le grosse pietre continuano a sfilare per lunghi secondi e fermano la loro corsa con schiocchi e scoppi sul ghiaione.
Ivan mi fa: “Siamo fuori tiro: la parete è strapiombante. Ma tu sta’ sotto, eh?”
Sì, me lo segno…
Cinghiali…

 

Tre

È ora di scendere.
Ivan mette lì più volte l’idea di tornare su per sistemare la falesia e ricorda i molti bivacchi fatti quassù anni fa con la Compagnia del Guru.
No, questo non sarà un posto frequentato, penso.
E non per la strada scomoda, il sentiero poco segnato, i fix vecchi, i gradi duri e le pietre rotolanti.
No, il posto resterà per pochi perché qui spira un’aria strana: c’è qualcosa dell’abisso che incontravamo sulle grandi pareti, di quel torrido gelo che ricorda di essere ai confini del mondo, che intimorisce, pietrifica il sangue e soggioga.
Bisogna esserci abituati.
Molti lo fuggono.
Pochi ne sono attratti.
Pochi si sentono a casa loro nella placida e silenziosa angoscia, nel composto caos, nell’atmosfera di totale indifferenza all’umano che si respira persi su queste pareti spazzate dal sole e coronate da alberi scossi dal vento, sotto nuvole che vagano in un cielo di un azzurro senza fondo.
È troppo: molti non sopportano…
Invece noi – i tre uomini mezzi saggi mezzi cojo’, come dice Ivan – staremmo qui ancora.

Ma dobbiamo scendere.
Dobbiamo tornare a responsabilità e impegni.
E schivare le insidie del lato umano – troppo umano e molto meno affascinante – dello stesso abisso spietato che c’è qui: la paura della fine dietro l’avidità, la crudeltà oltre la cordialità, la fragilità velenosa aldilà di competizione e prestazioni, il senso di inutilità – e l’inutilità – del tutto.

Come le falene si precipitano in un fuoco fiammeggiante per (la propria) distruzione,
così anche queste creature si precipitano nelle Tue bocche per (la propria) distruzione.
Tu lambisci, con le Tue bocche fiammeggianti, divorando tutti i mondi da ogni parte.
I Tuoi raggi feroci incendiano, riempiendo di fulgore l’intero mondo..

Così nella Bagavadgita Arjuna, prima di entrare in battaglia a Kuruksetra, con terrore descrive il Principio che gli si rivela oltre Krishna.

Forse resi inquieti dal vento che da caldo si è fatto fresco e insinuante, anche noi alla fine ci avviamo verso valle attraverso il caos del bosco schiantato da tempeste e scariche, quasi rotolando come le pietre che ci si muovono sotto i piedi.
Alle spalle ci insegue il verso melodioso di un animale sconosciuto.

Se vuoi avere maggiori informazioni, correggere errori o commentare, scrivimi